I DONI

(Tipologie di una consuetudine con molte croci e poche delizie)

 

Alcuni hanno il raro privilegio di evitare al donante le tipiche peregrinazioni che lo costringono a vagare titubante per botteghe e negozi fino a quando non avrà acquistato la cosa più brutta al prezzo meno conveniente.

Sono i doni che ci elargisce madre natura senza nemmeno dover porre mano al portafoglio.

Va da sè che, in analogia con quanto accade per ogni altra tipologia di regalo, ce ne saranno di più e di meno graditi. Oltre a rendere impraticabile il rifiuto, c’è di brutto che non risultano coperti da garanzia, ed in caso di cattivo funzionamento saremo costretti a tenerceli come sono.

Se prendiamo in considerazione quello della facciadibronzo dobbiamo fare tanto di cappello alla considerazione riservataci dalla provvidenza; che è come ci avesse assicurato pane e companatico fin dalla nascita.

Tra i meno graditi: quello della sincerità.

"Che te ne pare del salotto nuovo ?" Fingete di non aver sentito, ma l’altro insiste. Ingoiate la lingua; tuttavia ciò che pensate, anche se eroicamente soffocato, traspare da ogni vostro poro, che sta lì a gridare "Una vera m!"

Perfino il dono della saggezza non sempre assicura serenità e fortuna a chi lo riceve.

Potrà rivelarsi utile alle prese con le offerte dell’esperto in fregature. Ma vi procurerà imbarazzi di stomaco quando, convocati ad approvare strategie aziendali date per scontate, la coscienza griderà fino ad assordarvi che diventate complici delle peggiori stronzate mai programmate.

Doni che sembrerebbero altrettante menomazioni si trasformano invece, per certuni, in facoltà di tutto rispetto.

Prendiamo la propensione all’amnesia. Un iattura ? Forse per il manager costretto a tenere a mente più cose di quante sia in grado di farne. Ma vorrei vedere chi avrebbe il coraggio di considerarla tale quand’è connaturata a soggetti stracarichi di debiti e che, sprovvisti della provvidenziale copertura, passerebbero la notte e masticare le lenzuola.

Ci sono, poi, i doni di circostanza.

Somigliano dannatamente ai purganti; che nessuno vorrebbe ingerire, ma dei quali è impossibile fare a meno.

C’è il tizio che mi sta sulle palle. Ma guai a farglielo capire. Sono anzi costretto a fargli un presente.

E’ la tipica situazione che mette a dura prova la nostra dimestichezza con la matematica.

Cerchiamo di quantificare al millesimo il valore della posta in gioco (leggi: danno che potrebbe derivarci da imprudente dimenticanza), la sottoponiamo a radice quadrata, e solo dopo averne dimezzato il risultato (che arrotondiamo per difetto) potremo dire di aver individuato l’esatto binario che ci guiderà all’acquisto.

 

Non molto dissimili: i doni di nozze, dove, quanti non pascolano nella ristretta cerchia dei consanguinei sono chiamati a fare calcoli che richiedono buona padronanza di Excel.

Indispensabile tener conto di più fattori: disponibilità delle proprie finanze, tenore del ricevimento, costi di spostamento e/o abbigliamento, numero di famigliari coinvolti nell’invito, consistenza dei regali ricevuti dall’invitante al tempo dei nostri sponsali, ecc.

Dal canto loro, i nubendi, allertati da ancestrali ricordi, non mancano di attaccarsi alla lista di nozze. Pratica vivamente raccomandata da consuoceri ancora scottati dall’esperienza di bidoni nuziali fatti di decine di servizi da caffè penosamente allineati in fila indiana ed interi stock di soprammobili destinati in partenza alla cantina coniugale.

La mazzata dell’invito, stampato in pretenziosa finta pergamena, mi coglie quando mancano ancora dieci giorni all’accredito dello stipendio, ma devo precipitarmi a rotta di collo nel negozio indicato dalla coppia prima che i più avveduti facciano piazza pulita degli aggeggi meno proibitivi, riservando ai ritardatari frigo, lavatrice e condizionatore.

D’istinto opterei per una simpatica Moka con tazzine, sapientemente occultata dietro montagne di meno impegnativi ammennicoli. La coscienza oppone qualche resistenza, non del tutto immotivata se si considera che gli sponsali coinvolgono anche mia moglie e connessa prole.

Dopo molti tentennamenti (accompagnati da vivo apprezzamento per i sostenitori del libero amore ) la prenotazione s’attacca ad un lampadario di Murano; 200 euro (parte contanti e saldo con assegno posdatato).

Decisamente meno amari i presenti catalogabili come pegni d’amore.

Tra fidanzati è tutta un’altra musica. Ad imbavagliare la ragione provvede il sentimento, che ci spingerà a spendere oltre il limite del raziocinio.

E non basta. Come giudichereste chi si precipitasse dall’amata scaricandole in casa una fornitura di salumi buona per tutto l’inverno? Troppo facile! Troppo volgare! E’ indispensabile mostrare di saper penetrare con delicato acume fin nei più reconditi desideri della donna; puntare all’impossibile pur di farla felice.

Non è impresa da poco. Ne so qualcosa io, che ho dovuto troncare con la più travolgente delle mie passioni per aver ceduto alla più disastrosa delle intuizioni.

Ad ogni appuntamento la mia fiamma era sempre arrivata ancheggiando al fianco d’un cucciolo di cocker. Una bestiola vivacissima che, segnatamente nei giorni di pioggia, s’accaniva a palesarmi il massimo della simpatia, attaccandosi ai pantaloni e grattando le scarpe. Disgraziatamente, la caduta d’un vaso l’aveva stecchita centrandola in pieno mentr’era intenta a fare la cacca.

Cosa avreste fatto nei miei panni?

Attesi con impazienza il compleanno della ragazza e la raggiunsi tirandomi dietro il cesto nel cui fondo se ne stava acquattato un grazioso cucciolo della stessa razza.

Mi aspettavo, come minimo, che la figliola si sciogliesse in lacrime per la commozione. Quella, invece, sfoderò una smorfia di ribrezzo, che nemmeno Cleopatra alla vista dell’aspide (non dimentichiamo che era stata lei stessa a richiederlo - valle a capire le donne!).

Mi chiese, furibonda, se non mi fossi rincretinito. E come mai m’ero sognato di rinnovare un incubo dal quale stentava ancora a riprendersi. Volle poi trascinarmi con indignata insistenza da una stanza all’altra per mostrarmi puntigliosamente le vistose ammaccature che la buonanima aveva equamente distribuito tra tende e divani (senza trascurare coperte e lenzuola).

Mi si accusò di crudeltà mentale. Ma come avrei potuto sapere che l’innocente quadrupede era frutto d’un precedente regalo per nulla gradito?

Non volle sentire ragioni. Mi mise alla porta con lo sfortunato trovatello; che fui costretto a tenermi, sopportandone per anni i tipici dispetti dai quali è impossibile far desistere bestiole traumatizzate da un rifiuto.

E che dire dei doni di Natale ?

Non ci si salva!

Trovandoci al verde, non è detto che il padrone di casa non ci lascerebbe qualche giorno di respiro. Sprovvisti di contante alla scadenza d’un prestito, potremo studiare itinerari stradali diversi da quelli battuti dal creditore. Ma all’approssimarsi delle festività di fine d’anno non c’è scampo. Niente e nessuno riuscirà a preservarci dalla più ineludibile delle tassazioni; quella del dono natalizio; frutto d’una tradizione che registra più vittime dei botti di capodanno.

E tutto per colpa di tre disgraziati che una ventina di secoli addietro ebbero la bella pensata di scarpinare fino al presepio per regalare al neonato un mucchio di superflue cianfrusaglie.

Si narra che fossero veggenti. Sì! Tali a quali a quelli della televisione !

C’è una creaturina che sta crepando dal freddo e quelli, anziché portarle qualche maglia, o un paio di coperte, cos’è che ti vanno a tirare fuori? Mirra, incenso ….. Meglio mille volte le bestie! Non fosse stato per il bue e l’asino, il neonato, pur dotato di natura divina, se la sarebbe vista brutta assai; al punto che, forse, Erode avrebbe potuto risparmiarsi l’infamità della strage degli innocenti.

Un agguato di predoni lungo il tragitto che menava alla grotta sarebbe stato più che provvidenziale. Pare, invece, che, quella benedetta notte, tutti i ladri della Palestina si fossero dati appuntamento da qualche altra parte.

Unica speranza: il buio, che avrebbe potuto depistarli mandandoli a sbattere chissà dove. Ma ci si mise di mezzo la cometa. Scommetto che, se fossero stati ciechi, qualche prodigio sarebbe intervenuto a ridare loro la vista. Quand’è destino che una cosa debba andare storta……!

E tuttavia avremmo potuto salvarci se solo gli evangelisti ci avessero risparmiato i pettegolezzi della giornata.

Benedetta pignoleria! Prendete i biografi di Napoleone. Un personaggio del quale si sa tutto, ma nessuno, che mi risulti, s’è sentito in dovere di erudirci sui doni consegnati a Donna Letizia al momento del lieto evento.

Quando individui senz’arte né parte s’improvvisano scrittori è fatale che causino disastri. E’ bastato quel dettaglio perchè la sciagurata società consumistica s’industriasse a snobbare il Salvatore, rimpiazzandolo con questo c. di Babbo Natale, che è diventato l’incubo di tutti i capi-famiglia con un minimo di sale in zucca.

Si comincia con i doni aziendali. Quanto di più disumano possano generare atteggiamenti paleoburocratici di efferata tradizione.

Personalmente, ho sempre sospettato che la struttura preposta alle così dette campagne promozionali sia in mano a gente che deve aver fatto uno scrupoloso apprendistato nell’acquisizione di tecniche mirate alla destabilizzazione della psiche altrui.

Non si spiega altrimenti il sadico accanimento nel martellare innocenti funzionari con l’invio di confezioni dagli effetti ben più devastanti dei pacchetti all’antrace.

Un incubo che comincia già molto prima dell’ultima decade di Dicembre ed inizia a materializzarsi allorquando, di ritorno dal bagno, scorgiamo un elegante involucro che campeggia sul tavolo dell’ufficio.

Sulle prime ci assale il timore che qualche collega si sia messo a fare doni. Ci mancherebbe ! (La tredicesima è già impegnata fino all’ultimo centesimo ed il conguaglio si sa già che non perdona).

La scritta Tronchesi e Provetti del biglietto augurale , minuscola ed in elegante corsivo, contribuisce a risollevarci. Togliamo un metro abbondante di carta natalizia per estrarne un’agenda in finta pelle. Pesa tre volte quella fornitaci dall’ufficio. Nemmeno sotto minaccia ci risolveremmo a trascinarcela in borsa.

Stiamo ancora pensando come ed a chi rifilarla quando il fatidico marchio riprodotto indelebilmente sul bordo della copertina provvede a vanificare ogni fantasticheria.

Presi dal dilemma se dimenticarla in un cassetto o scaraventarla direttamente in cestino, non ci accorgiamo di altri due pacchi che intanto centrano il piano della scrivania. Ormai sappiamo di cosa si tratta; li apriamo con l’unica debole speranza che i nuovi arrivi siano esenti da marchi. Ma è tutta fatica sprecata.

Nei giorni che seguono l’assedio si fa più serrato.

Veniamo raggiunti, con la cadenza d’un obice, da tubi che ricordano le capsule della posta elettronica (calendari tanto schifosi e castigati che solo una crisi di follia ci spingerebbe ad attaccare al muro).

Un bombardamento che non ci darà tregua e la cui monotonia sarà appena lenita da proiettili di minor calibro (penne e pennette dalle marcature più vistose di quelle che ci rifilano in tempo di campagne elettorali).

Tireremo un sospiro di sollievo solo dopo esserci messi in ferie; anche se non occorrono cartomanti per prevedere che il ritorno sarà funestato dalla vista degli omaggi dei ritardatari; tutta gente che si comporta come quelli che, tanto per rompere, fanno esplodere i botti anche dopo che è trascorso il capodanno.

Mi piacerebbe poter interpellare gli uffici preposti a queste campagne promozionali per appurare le arcane ragioni che spingono ogni ditta a regalare sempre e solo le stesse cose.

Passi per l’invio di bulloni fermacarte (che al momento giusto potrebbero rivelarsi d’una qualche utilità). Ma perché affogare in grandi forniture di carta e penne gente che non ha mai palesato l’intenzione di andare a soggiornare per lunghi periodi in contrade selvagge?

 

Fuori dagli uffici non è che tiri un’aria molto più allegra.

Si torna a casa con la stessa paura di quando si paventa l’arrivo di salate bollette.

A nulla serve che la nostra metà occulti pacchi e pacchetti nell’angolo più recondito dell’alloggio e si predisponga a preparaci col dovuto tatto al tragico evento.

 

Avete notato che, di anno in anno, i doni dei conoscenti arrivano con crescente ritardo?

La cosa, per niente casuale; rimanda a problematiche tipiche degli eserciti che si fronteggiavano al tempo degli archibugi.

Caricare quei marchingegni comportava sforzi d’un certo rilievo che, aggiunti alla cronica penuria di polveri, rendevano i contendenti del tutto restii ad aprire per primi le ostilità. E sono convinto che molte carneficine di antiche gloriose battaglie traggano origine da sparatorie orchestrate in assoluta autonomia da battaglioni che avevano bivaccato con qualche bicchiere di troppo.

Gira e rigira, con i regali natalizi è quasi la stessa cosa.

Decise a scucire il meno possibile( onde vendere cara la pelle della tredicesima), sono sempre più numerose le famiglie che si astengono dall’aprire le ostilità.

Il riciclo, rito praticato ormai da un crescente numero di adepti, ha mitigato non poco i danni della barbara usanza.

Altro che ammucchiare doni sotto l’albero! Un regalo non fa in tempo ad arrivare che già mani esperte ne squarciano impazienti la confezione onde dosarne l’assegnazione in base all’elenco studiato apposta per la delicata opera di prossimo smistamento.

E’ il tempo in cui gli andirivieni di confezioni del tipo biro-matita s’incrociano a ritmi che nemmeno le spade dei tre moschettieri.

Anche orologi e pupazzi di peluche rispondono bene allo scopo. Assai meno quei pensierini personalizzati che sono quanto di più efficace possa concorrere a guastarci il Natale.

Sai che ho l’hobby della pittura e ti senti autorizzato a rifilarmi un cavalletto. Naturalmente ne posseggo già un paio. Dimmi ora dove c. vado a pescare un altro afflitto dal mio stesso tarlo.

E se sai che da dieci anni pratico la fotografia perché provocarmi con l’invio del Piccolo manuale del perfetto fotografo?

All’arrivo di ceste colme di commestibili la famiglia tira sospiri di sollievo che molto hanno in comune con quelli di prigionieri di guerra alle prese con i pacchi della Croce Rossa.

E’ lì il vero Eden del libero scambio. Oculatamente scorporati e riaggregati in funzione dell’utente finale, questi doni sono un autentico toccasana per le finanze domestiche; a patto che non ci si lasci accecare dalla fretta.

Ormai siamo all’antivigilia ed occorre darsi una mossa. I tempi dei riconfezionamenti (selezione, impacchettamento e recapito) assumono ritmi frenetici che causano, non di rado, l’inevitabile. Arriva Natale e c’è sempre in famiglia chi s’incarica di mandarcelo per traverso, ricordando d’aver inviato le bottiglie di Dom Perignon al Rag. Rossi, che è astemio, ed il San Daniele con tanto di nastro a quell’irrecuperabile vegetariano del Dr. Bianchi.

C’è poi da mettere in conto la situazione tutt’altro che allettante in cui vengono a trovarsi i donatari di terza e quarta spedizione. Poco male se alle prese con datteri, confetture e cotechini. Ma come la mettiamo con quei cesti stracarichi di uva che, a forza di passare di mano in mano, ci è arrivata più avvizzita d’una novantenne?

Di più disastroso c’è solo il dilemma che attende quanti hanno in parentela qualche religioso.

La zia suora mi ha fatto pervenire "Vita e miracoli di Santa Cunegonda vergine e martire". Un colpo mortale. Vorrei staccarle a morsi le orecchie. Invece ricambio con l’ultimo prosciutto; l’unica cosa che avevo programmato di tenere per me.

 

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