IL SUCCESSO (della serie Si salvi chi può!)

Piccola guida per ambiziosi allergici a rompersi il cosidetto per quattro soldi

 

Mai lasciarsi fottere dalle chiacchiere sulla rettitudine, sul lavoro che nobilita ed altre analoghe menate che la scuola cerca d’inculcarci. Salta agli occhi che perfino l’insegnante, costretto a contarcela per impegno contrattuale, lo fa a malincuore e con l’amaro in bocca, sempre che un residuo di coscienza lo trattenga dal marciare con ributtante cinismo su ammaestramenti studiati a bella posta per spingere i ragazzi sulla via della perdizione.

Altro che scuola maestra di vita!

Traviato da queste tiritere, rientrando a casa, l’innocente non riesce a trattenersi dal riferire tutto orgoglioso il succo delle brutture apprese di fresco. Tanto per cominciare, il padre, piombato da poco nello stato di cassintegrato a zero ore dopo vent’anni alle presse, gli assesta una sberla che lo manda a sbattere contro il muro della cucina; il minimo che possa fare un genitore seriamente preoccupato della sana educazione della prole.

Il ragazzo, a meno che la botta non lo faccia rincoglionire anzitempo, ricorderà la lezione e sarà grato al padre per averlo allontanato dalla cattiva strada.

 

Bisogna ficcarsi in testa che, nella società in cui viviamo, tra lavoro e successo intercorre la stessa differenza che c’è tra fare la pipì e scoparsi la Anderson. Più tardi lo si capisce e peggio è.

Molti riescono a ravvedersi per tempo; anche se non sempre lo fanno nella maniera più appropriata.

 

C’è chi, tuffandosi in settori sistematicamente incalzati dalla concorrenza , finisce col puntare su affermazioni effimere e piuttosto pericolose.

Quella del tangentista, ad esempio, risultando carriera tra le più inflazionate, non è esente da qualche rischio.

Bisogna fare conto, in primo luogo, della crescente modestia dei proventi.

C’è da convincersi che la matematica non è un’opinione. La continua proliferazione di bocche appostate sugli insidiosi percorsi che attendono ogni tipo di pratica non fa che ridurre l’entità delle bustarelle.

E se uno non sa, o non è in grado di fare niente di meglio ? C. suoi ! Dovrà adattarsi a stazionare nel girone più periferico del paradiso dei vip; un'area decisamente fragile poiché esposta alle intemperie giudiziarie.

Fa rabbia, soprattutto, dover constatare come, incapaci di guardare al di là della loro condizione, perfino rinomati professionisti, per timidezza o modestia, si astengano dal compiere ulteriori salti di qualità.

Qualche esempio ?

I numerosi primari caduti essi pure sul fronte della tangente. Autentiche vittime d’una civiltà dove gli organi umani si usurano peggio e più rapidamente degli elettrodomestici.

Si da il caso che la scienza riesca a fronteggiare le emergenze sfornando tanti e tali di quei ricambi sulla cui scelta, conveniamone, non è facile raccapezzarsi. Ora, ditemi voi che colpa c’è a cimentarsi nella ricerca d’un accettabile equilibrio prezzo-qualità. E pazienza, poi, se il fornitore prescelto decida motu proprio di significare con qualche presente la soddisfazione per la fiducia accordata al suo prodotto.

Cos’è, invece, che ti vanno a pensare i più incorreggibili malpensanti ? Che il Prof. Tizio, o il luminare Sempronio passino il tempo libero vagando per mercatini tipo Porta Portese, Porta Palazzo o Forcella onde approvvigionarsi di valvole cardiache e svariati altri ammennicoli per poi piazzarli ad un prezzo cento/mille volte superiore al loro valore.

Per me si tratta di vittime della concorrenza.

Poniamo che io abbia messo in commercio il prodotto A che, gira e rigira, è tale e quale al B (realizzato da una ditta nord-coreana); con la differenza che ne costa il doppio. Tu mi scegli il B? Padronissimo! Se poi capita che s’inceppi (forse anche per colpa del trapiantato, che potrebbe averlo sottoposto a sforzi impropri ) farò di tutto per rovinarti.

Troppo complesso; troppo rischioso!

Se avessi conseguito una laurea in medicina non ci penserei due volte a cambiare mestiere. Tirerei su una paninoteca; dove, a zittire le malelingue, basterebbe che il prodotto somministrato andasse a stendere il cliente cento metri più in là da dov’è ubicato l’esercizio. Meglio ancora un’avviata autofficina; che se poi la macchina ti si blocca sull’autostrada, c’è sempre l’ACI che provvede a mettere tutto a posto.

E’ vero che per finire dietro le sbarre con qualche probabilità di restarci occorre, come minimo (e salvo abbagli di ordine giudiziario), che uno abbia superato in ferocia il mostro di Firenze. Ma vuoi mettere lo sputtanamento a mezzo stampa e Rai TV (senza contare che oggi si ci mette anche l'Internet)?

Un titolo a tre (o più colonne) e si è fottuti quanto basta per dover chiudere baracca.

"Scandalo !" Un termine, naturalmente, che è solo un eufemismo, traducibile in un implicito invito ad occupare i posti lasciati liberi da quanti sono stati pescati con la mazzetta nelle mutande, o cuccati a sollecitare tangenti standosene ore intere con l’orecchio incollato al telefono.

Tolti, ormai, i pensionati con la minima è difficile trovare chi sia davvero in grado di scandalizzarsi.

Gli stessi truffati potranno restarci male, ma è del tutto improbabile che provino autentico disgusto per chi è causa delle loro sventure. E non è da escludere che, mettendo a frutto l’esperienza fatta, si applichino col dovuto rigore sulle possibilità di rifarsi allo stesso modo da qualche altra parte.

Aziende che ad ogni stacco pubblicitario ci perseguitano con la genuinità (e/o funzionalità) della loro produzione sono le stesse che fanno la fortuna di trasmissioni del tipo Mi manda Lubrano.

Quando appuriamo che il formaggio prodotto con i sistemi del buon tempo antico è la causa prima dell’accanita diarrea che non ci da tregua, o che il vino che fa la differenza risulta diretto responsabile delle nostre disfunzioni erettili, ancora una volta non ci scandalizziamo, ma ci limitiamo ad incazzarci come bestie, prendendocela soprattutto con la nostra dabbenaggine.

 

E chi uno straccio di mestiere proprio non ce l’ha?

Non è il caso di disperarsi. Solo alla morte non c’è rimedio!

Potrebbe tentare di prosperare ricorrendo alla sistematica appropriazione delle cose altrui. Attività anche questa che (ad eccezione di quanti gestiscono un adeguato studio legale) non risulta del tutto esente da rischi.

Una volta era diverso. Due ragazzi entravano nel supermercato. Al pari d’una brava massaia, si caricavano d’ogni ben di dio. Poi, arrivati alla cassa, la prassi abitualmente seguita dalla clientela subiva qualche variante. Anziché pagare, spingevano la commessa a consegnare gli introiti di giornata.

Qualcuno che avesse gridato "Al ladro!" avrebbe fatto la figura del provinciale arretrato e disinformato. Quelli non ci avrebbero messo molto a correggerlo, convincendolo d’essere stato testimone d’un esproprio proletario.

Oggi, complice la diffusa proletarizzazione della società, la cosa risulta del tutto fuori moda.

E c’è di peggio.

L’introduzione di nuove culture dovuta ai massicci flussi migratori rende più che probabili scene del tipo:

"Fermi tutti! Questa è una rapina!……Faccia a terra!….Tu!" (al proprietario dell’esercizio) "fuori l’incasso!"

L’interpellato apre pazientemente il retrobanco.

"C.!….Ma …..è vuoto!"

"Per forza! Non sono nemmeno dieci minuti che hanno già provveduto a svuotarlo".

Delle forze dell’ordine nemmeno l’ombra. Sarà perché risultano impegnate altrove, o ignorate a bella posta per paura che, dopo di loro, arrivino a fare quattro conti quelli delle Fiamme Gialle.

I malcapitati, che hanno fatto la figura degli imbranati morti di sonno, se ne vanno con la coda tra le gambe. Dovranno darsi una regolata e valutare se è proprio il caso d’insistere sprecando al quel modo le giornate.

 

Meno deludente e più lucrativo improvvisarsi operatori del paranormale. Attività giustificata anche dalla crescente difficoltà occupazionale che affligge i generici.

Spiace, semmai, dover riconoscere che, anche qui, i tempi d’oro sono finiti. Nei primi anni ’60, ad esempio, era tutta un’altra situazione. C’era il commissario che chiedeva a Totò: "Perché non la pianti di fregare il prossimo e vedi di procurarti un’onesta occupazione ?" "Per il fatto", rispondeva l’altro, "che ci sono in giro più fessi che posti di lavoro".

Non è che oggi manchino i fessi; una specie il cui numero continua, anzi, a superare di gran lunga le offerte delle agenzie interinali. Il guaio sta nel fatto che i professionisti del paranormale lasciano ormai scarsi margini a chi, affacciandosi per la prima volta sul mercato, è costretto a vedersela con strutture che, tra siti Internet, riviste, trasmissioni e convegni specializzati, tirano a trasformarsi in altrettante holding.

 

Diciamo la verità. In un contesto che, riferito ai neofiti, offre col contagocce le opportunità di successo, uniche persone in grado di guardare serenamente al futuro sono le figliole carrozzate da schianto.

Puntualizzo, a scanso di equivoci, di riferirmi al business dei calendari; settore dove sono gradite, ma non indispensabili, precedenti esperienze nel mondo dello spettacolo, dal momento che nessuno si sognerà d’indagare sulla cilindrata cranica delle candidate.

Siffatta moda, che ben poco ha a che vedere con la lamentata rilassatezza dei costumi, sorge e s'impone sulla salutare esigenza di contenere i danni psicologici cui non riuscirebbe a sottrarsi chi, vivendo nella realtà turbata dall’avvento dell’euro, dovesse incaponirsi ad appiccicare alle pareti vecchi arnesi del tipo Frate indovino o fogliacci con i bordi infarciti di ricette che nessuno ha più il tempo di sperimentare.

Un buon antidoto, soprattutto, alla sadica consuetudine di droghieri e salumieri che attendono il Natale per appiopparci, con la scusa dell’omaggio, calendari fatti apposta per dilatare provocatoriamente gli spazi in cui annotare quante più scadenze possibili di tratte e cambiali. Cose che, se anche per un solo momento uno volesse fottersene, Nossignore! Quelle sentono il dovere di saltarci agli occhi in ogni attimo della giornata, fino a guastarci il sangue e la digestione.

Con il sexyscadenziario la faccenda assume toni decisamente più soft.

Quando proprio ci si vuol sincerare sulla data dello sfratto, la marginalità riservata agli spazi di testo costringe ad incollare il naso sulle microscritte, mentre nulla è più utile della lente d’ingrandimento se si intende decifrare le annotazioni relative a grappoli di scadenze fiscali.

Un sospiro sofferto non c’è santo capace di risparmiarcelo, ma è indubbio che, sterzando sulle grazie della stangona, dovremo pur convenire che la vita non è fatta solo di lacrime e rincari.

 

Tutto cambia se la natura è stata tanto benigna da dotarci del necessario savoir faire.

Chi l’ha detto che a scrivere non si guadagna un c.? Bubbole! Occorre, semmai, selezionare con oculatezza i generi letterari cui dedicarsi. La scelta di percorsi sbagliati può comportare esistenze da fame; analoghe in tutto a quelle dei praticanti che bazzicano disperati per le redazioni dei periodici.

Il futuro, come il presente, appartiene per intero a chi è tanto poliedrico da riuscire a passare con elegante disinvoltura dalla trattazione di problemi scientifici ad argomentazioni giuridiche, amministrative, tecniche e socio-economiche.

Individui che, per modestia, o innata ritrosia, sono accomunati dalla spiccata tendenza a mimetizzarsi nei confronti del grande pubblico, fino ad ingenerare valutazioni per difetto sulla consistenza tutt’altro che irrilevante del loro numero. Sono davvero tanti e questo spiega come, da noi, il mancato stanziamento di fondi per la ricerca non abbia nulla a che vedere con fattori di taccagneria o criminale disinteresse. C’è bisogno d’intaccare il bilancio statale quando abbondiamo di geni che, pur estranei a qualsiasi frequentazione accademica, continuano ad affannarsi nella redazione di imponenti dissertazioni?

Una forma di dedizione prossima all’eroismo, della quale, il più delle volte, potessero, farebbero volentieri a meno; specie quando incontrano difficoltà a trovare chi sia disposto a scodellare loro il materiale di cui necessitano.

Chi gliela fa fare? Il guaio è che, alla lunga, standosene sempre e dovunque a bocca chiusa, potrebbero incontrare qualche difficoltà a giustificare continue e profumate trasferte dentro e fuori dai confini nazionali.

 

Forse non ve ne sarete accorti, ma stiamo parlando delle possibilità di successo riservate a quanti campano arroccati un po’ ovunque ai vertici delle tante strutture ancora in mano pubblica (si fa per dire).

Perseveranza e massima disinvoltura (leggi: facciatosta); ecco, in ultima analisi, i principali requisiti per entrare a far parte della fortunata categoria.

L’intelligenza? Meglio se un tantino al di sotto della media; quanto basta, in definitiva, ad evitare postumi dispiaceri a chi ne ha caldeggiato l'insediamento; l’autentica cretineria, inizialmente bene accetta, ha perso ogni diritto di cittadinanza da quando s’è rivelata insuperabile nel ricoprire di m. i mammasantissima dell’alta politica.

La democrazia, a saperla prendere per il verso giusto, somiglia maledettamente all'organizzazione dell'antica società feudale.

Poniamo che l'imperatore Peppino III si fosse rivelato rincoglionito da assegnare importanti fortezze al più furbo dei suoi vassalli. Chiaro che il neo-eletto avrebbe impiegato i nuovi poteri per cercare di fotterlo al più presto. E se Peppino, caratterizzato invece da patologica diffidenza, avesse affidato le terre ai peggiori coglioni del contado? Peggio! Costoro si sarebbero affrettati a combinare un tale mucchio di fesserie che non avrebbero tardato a ridurre sul lastrico l’imperatore.

Impossibile prescindere da un minimo di doti gestionali.

Una volta era d’obbligo sapersi destreggiare nella richiesta e conseguente raccolta di mazzette, saggiamente dosate sull’entità dei favori graziosamente concessi.

Poteva durare all'infinito? Quanti ne erano convinti sottovalutavano le conseguenze dell’emulazione; una dote che, specie da noi, non ha mai mancato di fare testo.

Chi si fosse trovato al vertice, poniamo, dell'azienda pubblica incaricata di contrastare la proliferazione dei sorci, non avrebbe dovuto fare altro che inventarsi una costosa campagna di derattizzazione, addomesticare appalti in pro delle imprese amiche ed intascare tangenti da dividere ( il più equamente possibile) con chi lo aveva schiaffato alla guida dell’ente.

Dal momento che, com’è fin troppo risaputo, il topo è un animale tutt’altro che fesso, una sola campagna si sarebbe rivelata del tutto insufficiente.

Impossibile astenersi dal mettere in cantiere svariate altre iniziative con connesse gare accompagnate da altrettante mazzette. Tutto ok fino a quando si fosse trattato di passare le briciole a quei quattro gatti della commissione amministratrice. Poi le cose avrebbero cominciato a complicarsi.

Quanti soffrivano nell’attesa di potersi dedicare anima e corpo al superamento dell’emergenza topi, avrebbero trovato santi protettori capaci di coinvolgerli nella gestione, dilatando all’inverosimile l’entità delle strutture decisionali. E gli organi di controllo ce li siamo scordati? Vogliamo o no mettere in conto anche l’esigenza di creare almeno un paio di sotto-commissioni?

Va da sé che, alla fine, persino gli uscieri, dapprima refrattari alle vicende topesche, avrebbero cominciato a prendere a cuore la cosa e nessuno sarebbe riuscito a distoglierli dall’elargire interessati consigli ed amichevoli suggerimenti alla miriade di operatori che sul vorace animaletto ricavano di che vivere.

Vogliamo arrischiare, a questo punto, un possibile epilogo della faccenda?

La magistratura, assordata dalle lagnanze di imprese escluse dai lavori, comprensibilmente incazzata nel constatare che, malgrado le cifre astronomiche fin’allora impiegate, non c’era scartoffia tribunalizia capace di sottrarsi all’appetito dei ratti, rompendo ogni indugio avrebbe cominciato a ficcare il naso nel libro mastro dell’azienda.

Ne sarebbero seguite dimissioni a catena, chiamate di correo, perquisizioni, arresti. Ed ancora, ammissioni e rivelazioni degne del più bieco pentitismo. I giornali ci avrebbero inzuppato il pane a quattro mani e lo avrebbero tenuto a mollo fino all’esplosione di analogo scandalo, relativo alla opere di derattizzazione messe in atto dalle amministrazioni limitrofe. Insomma, un casino della madonna.

Oggi, se ne accorgerebbe chiunque, è tutta un'altra musica. Le tangenti girano tali e quali a prima, solo che, come sopra evidenziato, sopravvivono nella sola consuetudine di sprovveduti incapaci di concludere di meglio.

 

Che ci sia stata una conversione in massa della variegata fauna politica ai dettami dello spirito di servizio?

Non scherziamo!

Quando mai un cambiamento delle usanze è andato a coincidere con quello dei contenuti?

Ponendo mano al Gattopardo, Tomasi di Lampedusa mostrava di conoscere fin troppo a fondo i vizietti di noi italiani.

I costumi d'un popolo hanno di brutto che somigliano a corredi costituiti da capi unici.

Quando si è tanto disgraziati da disporre d'una sola giacca la si dovrà indossare anche se stracarica di rattoppi. Ma quando quelli minacciano di cedere? Occorrerà rivoltarla.

Chi vedesse transitare per strada il tipo tirato a nuovo potrebbe pensare che disponga, finalmente, d'un indumento decente. Per capire che in realtà poco è cambiato (e che anzi l'oggetto risulta più fatiscente di prima) bisognerebbe andare a rovistare di nascosto tra gli attaccapanni. Un'azione decisamente assai poco politically correct.

 

Volendo dare una sbirciatina alle nuove realtà gestionali nemmeno ad un cieco sfuggirebbero i vertiginosi impennamenti registrati dalle indennità di carica. Consiglieri e presidenti che un tempo strappavano remunerazioni tanto simboliche da fare schifo oggi marciano alla grande. Aggiungiamo pure che non c'è straccio di politico capace di sottrarsi a conferenze, dibattiti e tavole rotonde organizzate, di norma, in prestigiosi ambiti UE.

Ora, anche dando per scontato che in democrazia tutti hanno diritto di parola, me lo dite su cosa c. possa andare a relazionare a Bruxelles (un giorno sì e l'altro pure) chi deve ad un pugno di voti la fortuna d'essersi sottratto alla brutta esperienza del precariato?

 

E fosse solo questione di incosciente autosputtanamento!

Mai come oggi è stato nel vero chi ha visto nella politica l'arte di sapersi muoversi nell'ambito delle relazioni sociali.

Dobbiamo ammettere in tutta franchezza che, sino al tramonto della prima repubblica, i rapporti tra politici e società laica rappresentavano quanto di più striminzito si potesse immaginare.

Cos'altro erano le sezioni ed i congressi se non momenti iniziatici vergognosamente preclusi agli estranei? Finalmente, vivaddio!, non è più così! E la trogloditica pratica delle assemblee, confinata com'è negli ambienti della destra più impresentabile, dimostra a iosa d'aver fatto il suo tempo.

Del tutto improbabile che i disgraziati nostalgici del dibattito e gli affetti da cronico protagonismo di piazza arrivino a rimpiangere lo smantellamento degli equivoci covi di partito. Esiste, per i primi, tutta una sfilza di apposite trasmissioni TV dove, tra la pubblicità d'un profilattico e quella del pollo allevato a terra, potranno seguire in tutto comodo (senza nemmeno il fastidio di spostarsi da casa) ogni sorta di serrato confronto d'opinioni. Per quanto, poi, riguarda i secondi bisogna convenire che la moda dei girotondini sembra tagliata su misura per soddisfare al meglio ogni loro più sofisticata esigenza.

Liberi da incombenze che riducevano di molto le loro potenzialità manageriali, le nuove leve politico-amministrative risultano finalmente libere di lasciarsi coinvolgere a pieno ritmo nella razionalizzazione di imprese che hanno la fortuna di trovarsi in mani così esperte.

Stop, come prima cosa, a con quel fottutissimo assistenzialismo che ci stava portando alla rovina. Era ora che ci si decidesse una buona volta a rimboccarsi le maniche sui sani principi della produttività.

E’ possibile affrontare siffatti percorsi prescindendo da fattori di rammodernamento e meritocrazia?

Ed ecco che impiegati illusi di svolgere al meglio i propri compiti scoprono, dall’oggi al domani, di essere altrettante teste di c., mentre individui ingiustamente sottovalutati possono finalmente scalare le gerarchie aziendali come fossero altrettanti atleti allenati nel salto con l’asta.

Si appura (segnatamente nelle minuscole imprese pubblico-meridionali) che la natura di alcuni settori è a tal punto strategica da imporre sistematici ricorsi all’ausilio di organizzazioni esterne, mentre approfondite analisi del tipo costi-benefici (oculatamente affidate a stuoli di seri professionisti) dimostrano, senza ombra di dubbio, l’urgenza di trasferire ai privati tutta una serie di lavorazioni interne.

Interrogate a fondo la vostra coscienza e poi ditemi se le aspettative di efficienza possono sottrarsi al costante aggiornamento dei progressi informatici. Qualcuno potrebbe obbiettare sull’opportunità di spedire ai corsi di patente europea gente prossima al pensionamento. Ma che colpa hanno gli amministratori se l’età media dei dipendenti è quella che è (o vogliamo mandare tutto a scatafascio, unendoci al coro di quanti sostengono che oltre i settanta si è meno arzilli dei ventenni?).

Anche se non mi è del tutto chiaro cos’abbia a che vedere il marketing con l’acquedotto d’un comune delle dimensioni di Roccacannuccia, sta di fatto che risulta difficile sottovalutarne l’importanza. Tanto vale affidare la cosa a chi sa il fatto suo e che, sarà un caso, gestisce qualche affermato studio di settore ubicato fuori regione.

E’ scientificamente dimostrato che, privato di appropriati input pubblicitari, finanche il consumo della luce calerebbe di brutto. Sotto, allora, con sponsorizzazioni, che saranno tanto più efficaci quanto più martellante risulterà la reiterazione di salati messaggi pubblicitari.

Quelli che trovano sempre da ridire potrebbero rilevare che l’insieme di queste belle cose finisce per costarci una barca di euro, e che, forse, tutto sommato, si stava meglio quando si stava peggio. Ed è il tipico errore nel quale incorrono quanti proprio non hanno capito un c. delle logiche imposte dalla globalizzazione e dagli imperativi della competitività interplanetaria.

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